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Antropologia della tecnica pt. 5

Nel precedente articolo ho iniziato a vedere la pentola a pressione in una luce diversa, un po’ meno familiare e un po’ più femminista. Ma è anche vero che ho continuato a dare per scontato un aspetto apparentemente banale ma, semiotica alla mano, fondamentale: il suo stesso nome. Sempre seguendo i consigli di Vittorio Marchis, voglio quindi creare una costellazione di parole, cercando il nome della pentola a pressione in varie lingue e capendone l’etimologia, definendo “grappoli di parole” legate al mio oggetto preferito (almeno ultimamente).

Partiamo dall’italiano: pentola a pressione, certo. Pentola, da latino pendere, essere sospeso, mediante una forma pendulus-a, perché “fu in origine vaso da star sospeso sopra il fuoco” (secondo il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani). Pressione, da premere (tanto in italiano quanto in latino) di cui però “se ne ignorò l’origine” (secondo il dizionario etimologico di Giovanni Semerano). In ogni caso, premere ha il significato originario di imprimere un segno e ha una base comune a un termine (birmu) che indica il sigillo – anche se può avere il significato di “spingere, aggravare, calcare, incalzare e, metaforicamente, stare a cuore” (sempre riprendendo dal Pianigiani). Insomma, nel termine pentola a pressione convivono due sfere di significato abbastanza contrapposte: la passività, l’essere appesi, e l’azione, il lasciare un segno o un premere.

Non è però questo l’unico nome della pentola a pressione in lingua italiana: tornando indietro nel tempo fino al 1778 Giann’Ambrogio Sangiorgio scrive La macchina di Papinio riformata all’uso economico e farmaceutico, di cui la magia di internet mi permette di vedere la prima pagina grazie a un’inserzione in una libreria antiquaria:

Questa ricerca invece, in cui ho trovato il riferimento, ci permette di vedere una bella illustrazione presente nel testo:

Emergono quindi due nuove parole: macchina e pignatta. Macchina, cioè “strumento per fare o compiere” dalla radice MAGH, crescere o aumentare in potenza (Pianigiani). Qui emerge tutta una nuova costellazione che tocca una lingua di cui parlerò dopo: il sanscrito mah-ate (accrescere), il greco mech-os (strumento), il tedesco Macht (forza). Costellazione forse spuria, ad ascoltare il Semerano, per cui il greco μηχανή è “a torto accostato” a mag e deriva invece dall’ebraico kūn (allestire, mettere su, preparare). Definire macchina il nostro oggetto è coerente con l’utilizzo più scientifico che ne viene proposto nel testo, come strumento non solo per preparare brodi da cucina ma anche decotti. In ogni caso trovo interessante che Sangiorgio accosti questo termine più rispettabile a “pignatta”, che richiama la pigna a causa della forma del coperchio. Infine, prima di diventare “pentola a pressione”, il nostro oggetto diventerà poi un “digestore” come calco del francese digesteur (di cui parlerò tra poco) in Il digestore di Papino ridotto ad uso di cucina di Girolamo Ottalini. Senza focalizzarsi sull’etimologia, qui il nostro oggetto diventa già una “pentola da cucina” che cuoce perfettamente riso e carni in poco tempo.

Passiamo poi al francese, lingua madre della pentola a pressione grazie al suo inventore Denis Papin (o Papinio/Papino che dir si voglia). Qui abbiamo ovviamente il primo nome della pentola a pressione – digesteur (termine di genere maschile) – dal latino digerere. Digerere è a sua volta formato dal suffisso dis- (che elide la s), ovvero separare, e da gerere, ovvero “condurre a termine, sostengo, faccio” (Semerano). Insieme, quindi, indicano l’azione di dividere o separare, in questo caso i nutrienti (celebri sono le ossa che nel digesteur diventano una gustosa gelatina). Ma anche in francese troviamo diversi nomi più contemporanei: il più ovvio per noi italiani è marmite à pression (sostantivo femminile). Marmite ha un’etimolgia abbastanza variegata secondo Pianigiani: forse dall’arabo marmi’d, “luogo dove si cuoce la carne”, forse onomatopeico del ronzare in modo simile al verbo francese marmotter, o, “volando con la fantasia”, dal greco marmaritès, risplendere (come il metallo di cui è formata la marmitta). Un elemento particolarmente femminile emerge dall’etimologia riportata in un etimologia francese, che riporto per intero:

“composizione di mite “gatto” (come chattemite, gattamorta) e dell’elemento onomatopeico marm-, originariamente da marmonner. L’evoluzione semantica si spiega con il fatto che la pentola, profonda e chiusa da un coperchio, nasconde il suo contenuto ai curiosi, in contrapposizione, ad esempio, alla padella, piatta e aperta.”

Non stupisce neanche troppo che marmite voglia anche dire, apparentemente, “prostituta che sostiene un pappone”. Può sembrare una connessione strana ed estemporanea, ma trova in realtà un riscontro in un altro nome, questa volta commerciale, della pentola a pressione: cocotte-minute. Cocotte è l’equivalente della nostra casseruola, alterazione di coquemar dal fiammingo kookmoor (koken, bollire, e moor, moro, allusione alla pentola annerita dal focolare) – ma significa anche e notoriamente prostituta, come in questa poesia di Gozzano (minute si riferisce invece alla velocità di cottura). Insomma, la femminilizzazione della pentola a pressione non è un caso isolato.

Passando velocemente al tedesco, qui la pentola a pressione è chiamata der Schnellkochtopf, da schnell (veloce) e Kochtopf (casseruola). L’aggettivo schnell, di origine teutonica, ha anticamente il significato più generale di “capace” ed è passato anche nelle lingue romanze come nell’italiano “snello”; Koch (cuoco), deriva invece dal latino coquus, e arriva nella lingua tedesca nel sesto secolo, “quando l’arte della cucina e dell’orticultura furono introdotte dall’Italia” (secondo il dizionario etimologico di Friedrich Kluge) – coquo deriva a sua volta da una base comune all’accadico kukku (pane, focaccia) e al sumero gu-ug (arrostire); infine, Topf ha una radice legata alla radice teutonica dup (essere profondi, vuoti).

Per chiudere, citiamo lo spagnolo in cui la pentola pressione è chiamata una olla a presión in modo simile all’italiano. Stranamente trovo un’etimologia di olla anche nel vocabolario di Pianigiani, secondo cui deriverebbe o da un termine dell’antico alto tedesco onomatopeico del bollore, oppure da una radice sanscrita legata al disseccare e alla padella (quindi apparentemente contrapposta a Topf e alla marmite francese).

Ma quindi, seguendo i nomi della pentola a pressione in varie lingue europee e le loro etimologie, cos’è una pentola a pressione? Un oggetto sospeso che imprime un segno, uno strumento che allestisce una divisione, un contenitore che nasconde il suo interno con civetteria, un recipiente profondo che cuoce in modo vigoroso, qualcosa che bolle (quest’ultima definizione abbastanza accurata). Insomma, sembra che le nostre lingue, a contatto con la pentola a pressione, abbiano cercato modi più o meno fantasiosi, di darle (o dargli) un senso arrivando a risultati molto diversi nel tempo e nello spazio.

Quindi anche questo mio esercizio di analisi, che sta raggiungendo un livello quasi maniacali, non è poi così originale. Solo che invece che avere migliaia di anni, di vite e di conversazioni per costruire un significato intorno e con la pentola, io cerco di farlo in piccolo e in qualche mese. Quasi come un tipo di pentola che invece cuocere del cibo in delle ore, ci mette pochi minuti grazie a qualche ritrovato tecnico…